Cesare Maestri: il ragno delle Dolomiti.
Ci fu un grande alpinista trentino, che vantò circa 3500 arrampicate nel mondo, molte delle quali compiute in solitaria. Un mito conosciuto e riconosciuto nell’ambito dell’alpinismo, un esperto scalatore che spalancò importanti vie soprattutto nelle sue amate Dolomiti.
Cesare Maestri, il “Ragno Delle Dolomiti”, classe 1929, ha dedicato la vita alla sua passione. A cavallo tra gli anni ’50 e ’70, risultava essere il più grande arrampicatore del dopoguerra.
Tra le tante imprese ricordiamo la salita lungo la via Destassis-Giordani al Croz dell’Altissimo (nelle Dolomiti di Brenta, per lui le più belle al mondo) e la discesa, che intraprese per primo, sempre in solitaria, della Paganella (Trento).
La vetta delle Dolomiti alla quale era maggiormente legato è il Campanil Basso raggiunta per la prima volta nel 1949.
L’alpinista Marino Stenico disse: “Cesare arrampica con tanta naturalezza che guardandolo sembra tutto facile. Supera passaggi e strapiombi con la stessa disinvoltura di un ragno che si arrampica su un vetro”.
Questa frase ci fa capire che si trattava di un uomo in grado di affrontare salite e discese estreme, praticando in anticipo di decenni, quello che oggi viene definito free climbing.
Egli aprì note vie come Corna Rossa e Spigolo del Cielo, nelle Dolomiti di Brenta, via Nord delle Punte di Campiglio, la parete ovest della Croda di Vale e la Diedro-Maestri nella Valle del Sarca.
Nel 1959 si unì ad una famosa spedizione che rimarrà, purtroppo, nella storia.
Per il Cerro Torre, soffrì davvero tanto.
L’obiettivo era scalare questa spettacolare montagna della Patagonia alta 3128m e definita “Impossibile’’ poiché bisognava scalare una parete liscia di 900m.
Eppure disse: “Non esistono montagne impossibili, ma solo uomini incapaci di scalarle”.
E fu così che Cesare Maestri, il più grande arrampicatore su roccia dei tempi, insieme a Toni Egger, il più grande arrampicatore su ghiaccio dei tempi, due assi delle montagne, partirono, uniti. Una spedizione che vide insieme due fuoriclasse.
Da questa spedizione, però, tornò solo Cesare.
Egli raccontò che dopo aver raggiunto la vetta durante una tormenta iniziarono la discesa senza sapere esattamente la direzione da prendere. Toni Egger fu tragicamente travolto da una valanga, durante la discesa, insieme all’attrezzatura e alla macchina fotografica che avrebbe potuto testimoniare il raggiungimento della meta.
Fu proprio questo fatto a far discutere e a scatenare infinite polemiche che si sono susseguite per molti decenni: il mancato riscontro fotografico fu motivo di attacco nei confronti dell’alpinista al quale vennero contestate anche incongruenza e poca precisione nei dettagli dei racconti.
Tutto questo però, lasciò soltanto una domanda in sospeso: perché un mito della storia dell’alpinismo, così considerato già a quei tempi, avrebbe dovuto riportare un resoconto non autentico?
I pochi resti di Egger furono trovati solo nel 1974 (insieme alla piccozza, alla corda, al coltellino e al martello) e seppelliti alla base della parete occidentale del Fitz Roy, in Patagonia. A lui venne dedicata la guglia nord del Cerro Torre, Torre Egger.
Una parte triste della vita di Cesare, che lo provò tantissimo dal punto di vista umano.
Tra i suoi contestatori, Reinhold Messner: “(…) nel 1959 non era possibile percorrere quella via (…) è stato il più grande scalatore al mondo nel suo periodo (…) ho grande rispetto per Cesare, anche se non è arrivato sul Cerro Torre nel 1959”.
Ma in realtà non fu la sua unica spedizione sul Cerro Torre; ce ne fu un’altra, nel 1970.
Ma anche questa arrampicata fece sorgere scomode diatribe per l’utilizzo di chiodi ad espansione per facilitare la scalata.
Il compressore utilizzato per attrezzare la parete di roccia con i chiodi, pesava 120kg ed è rimasto appeso ad un chiodo, per anni.
Il Ragno delle Dolomiti disse: “Il termometro del coraggio è la paura: senza paura si è incoscienti. La paura fa bene, se uno ha paura è bravo”.
Ed è per questo che ha sempre arrampicato nei limiti delle sue possibilità, senza andare oltre, in una meravigliosa miscela di talento, bravura, prudenza, coraggio e saggezza.
Arrampicare gli ha riempito la vita, è stato lo scopo della sua esistenza.
E oggi, Cesare Maestri, socio onorario del CAI, vive a Madonna di Campiglio (1550 m.s.l.s, Trento). È uno scrittore di libri autobiografici e non ha lasciato nemmeno per un secondo le sue amate montagne, presenti nei suoi racconti e mentre dissemina messaggi di rispetto dell’ambiente.
Ma soprattutto, è un uomo che ha vissuto le montagne, le ha amate e ora porta dentro di sé la saggezza di chi le ha davvero capite.